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Gli otto nuovi luoghi comuni sul calcio a cui tutti credono (sì, pure tu che ti dai le arie da Prandelli di periferia)

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Cari compagni, amici, bastardi d’ogni credo, razza, colore, sesso, peso, topaggine, il campionato di calcio italiano di serie A volge al termine. Quando leggerete queste poche, sporche e inutili righe mancherà solo una partita alla fine di tutto, ma non alle vacanze del pallone. Incombe il Mondiale. Tutto, tranne l’inutile sesto posto, è stato deciso. C’è chi parte per l’Europa e chi per la serie B; in questo secondo caso non è un bel partire, insomma, è come andare in viaggio di nozze con la suocera. Il campionato non sta finendo benissimo, non parlo di fatti tecnici (ci sono meno risultati scandalosi del solito), quanto dell’ennesima scoperta di come gli stadi siano mal frequentati e, soprattutto, della recrudescenza del luogocomunismo che, come tutti i comunismi (mi consenta…) fa solo dei danni. Insomma, è il trionfo delle frasi fatte e dei soliti luoghi comuni attorno al calcio. Però, ahinoi, se ne sono aggiunti di nuovi. Cominciamo dal più nuovo di tutti.

1) L’Atletico Madrid, con pochi mezzi e tante pippe, dimostra che in finale di Champions League può arrivare chiunque. Innanzitutto l’Atletico Madrid tanto povero non è: nell’estate del 2013 ha incassato 60 milioni di euro dalla cessione di Radamel Falcao al Monaco. Scarso? Mah. Ha Courtois, il portiere del Belgio, la squadra più effervescente del momento. Ha Diego Costa, il centravanti più in palla del momento, che la Spagna si è affrettata a naturalizzare (è mezzo brasiliano). Ha giocatori esperti come Juanfran, Tiago (quello che alla Juve veniva fischiato e qui fa il fenomeno), Arda Turan, Villa (campione d’Europa e del Mondo). Tiene Diego (un altro fallimento bianconero) in panchina. Ha vinto due Europa League e altrettante Supercoppe d’Europa (2010, 2012), quindi in campo internazionale non viene dal nulla. Eppure è una squadra di pippe. Mah.

2) La priorità è risolvere la questione della violenza negli stadi. E come, di grazia, vossiggnoria? Più che “un” luogo comune è “il” triste luogo comune che si ripropone ogni decennio di fronte all’omicidio o, come in questo caso, al tentato omicidio. Gli ultrà accusano il mondo di perbenismo e ipocrisia. Non hanno tutti i torti, anche se si dovrebbero dare una bella regolata. Per risolvere il problema, ossia per rendere più sicuri i nostri stadi, occorre agire su due direttive. A) L’educazione: perché abbiamo la cultura sportiva più insignificante dell’Occidente (e forse anche di qualche paese del terzo mondo). Esempi. Ora i tifosi della Juve festeggiano i tre scudetti consecutivi, ma tra sei mesi, alla terza sconfitta consecutiva, canteranno ai giocatori: «Veniamo con i bastoni». Il Catania è stato in serie A dal 2006 a oggi. Non era mai successo. Eppure i tifosi contestano la retrocessione. B) La repressione: perché l’educazione parte lenta e arriva tardi, ma Genny ‘a carogna e i suoi sodali sono lì a cavalcioni a ordinare, determinare, decidere, e quelli li devi cacciare, subito, da tutti gli stadi del regno. Quella che viene chiamata “priorità”, in realtà non lo è. Nessuno vuole entrare a gamba tesa su questo dramma del nostro calcio. Troppi gli effetti collaterali indesiderati, troppe parti in causa e una lobby trasversale in parlamento di amici degli ultrà che, pur non essendo tutti dei fetenti, hanno questa retorica curvaiola che prevede omertà e solidarietà. Infine, anche se non lo ammetteranno mai, i primi a non volere una legge repressiva sono le forze dell’ordine che hanno già i loro guai e non vogliono mettere le mani nel verminaio. Preferiscono controllare, mediare.

3) Bisogna mettere la moviola in campo. Ovviamente, quelli che lo dicono sono i primi a non volerla. È come quel bellissimo racconto di Pino Cacucci in cui un ricercatore scopre il dentifricio che fa guarire i denti da ogni malanno. Gli danno il Nobel? No, gli danno la caccia con decine di killer prezzolati. Ma pensateci un momento: con un dentifricio così dentisti, prodotti per i denti, strumenti, pastiglie, collutori, eccetera dove finirebbero? Chiuderebbero fabbriche, andrebbero in crisi multinazionali. Con la moviola è lo stesso. Ma se usano la moviola e risolvono tutti i conflitti in campo, il bar dello sport, televisivo o sotto casa, le radio, le tv locali, moltissimi giornali, di cosa parleranno? Er go’ de Turone tiene banco da trent’anni, quello de Muntari per i prossimi trenta. Ma di cosa discuterete, con chi litigherete la mattina, davanti a cappuccino e brioche, quando metteranno la moviola in campo? Ma le paginate sugli arbitri italiani «che sono i peggiori del mondo» dove finiranno? E la moviola in tv? Pensionata. A parte il problema sociale, grave due volte (molti posti di lavoro persi, molti ceffi che ora stanno in tv o in certe radio locali per le strade), ci sarebbe un gravissimo problema di palinsesto. Cosa mettiamo al posto delle discussioni “rigore sì, rigore no”? Un film? Una serie? Qualche replica?

4) Discriminazione territoriale. È l’ultimo reato di questo mondo che ci ammorba ogni giorno con trovate politicamente corrette, ma non va mai al cuore dei problemi. Tra un po’ non si potranno più raccontare barzellette sui gay, non si potrà più dire «ehi bella mora» a una ragazza allo stadio (eravamo in centomila quel dì) senza rischiare l’incriminazione. Già ora non puoi insultare un tale di Brescia o uno di Crotone altrimenti ti chiudono la curva, che poi non sono neanche contrario alle partite a porte chiuse, ma non è questo il punto. Discriminazione territoriale fa ridere già mentre lo pronunci. Ma cosa vuol dire? Capisco punire episodi chiari in cui ci sia di mezzo il razzismo, ma che differenza c’è tra «Vesuvio lavali col fuoco» e «Devi morire» urlato a un giocatore avversario infortunato? È più grave prendersela con la madre del portiere rivale o dell’allenatore o dire «Napoli-colera». Ma dai. Odio i cori da stadio, specialmente quelli negli stadi italiani, ma odio anche la panna montata con cui qui si tenta di ammorbidire ogni problema. Io preferisco «You’ll never walk alone» tutta la vita, ma non copriamoci di ridicolo punendo «noi non siamo napoletani».

5) Dateci lo sceicco (o il riccone esotico in genere). È l’ultimo grido in fatto di speranza dopo il Superenalotto. C’è voluto qualche anno, poi anche gli ultimi pirla tra i tifosi italiani hanno capito che né Moratti, né Berlusconi, né gli Agnelli avrebbero cacciato (grandi) euri nel calcio. Fino al Triplete interista erano ancora in tanti a credere che, un giorno, Messi o Ronaldo, come era capitato a Zico, Platini e Maradona, prendessero domicilio qui da noi. Poi vi siete resi conto, compagni e amici, che, ormai, si poteva solo inventare qualche giovane di successo (Pogba) o riciclare l’usato sicuro (Tevez). Ora, invece di sperare nell’acquisto a effetto, tutti sognano che arrivi il pascià sul tappeto di Aladino, si compri la squadra del cuore e la trasformi nel Psg o nel City. Finora, da noi, i presidenti stranieri, da Thohir a Pallotta, di sghei ne hanno cacciati pochi. La Roma è una squadra splendida, ma è stata costruita con un sapiente equilibrio tra cessioni e acquisti. Infatti ha quello che è oggi il miglior direttore sportivo italiano, Walter Sabatini. Più che il magnate, ci vuole qualcuno come lui.

6) Fair play finanziario. Strettamente legato al punto cinque. Trattasi di un’invenzione di Platini. In pratica, per evitare che la differenza tra i club in Europa la facciano le palanche, Michelone vorrebbe che i bilanci fossero a posto per una politica economica seria e non per i vagoni di petrodollari o gasdollari dei padroni che arrivano a colmare i buchi. Un pio proposito. Per questo ha multato Psg e City di 60 milioni (a rate, in tre anni) e ha ridotto la rosa a 21 giocatori. Però la vera discriminante è non farli partecipare alle coppe europee, escluderli del tutto. Allora sì che i giocattoli degli emiri andrebbero in crisi. Ce la farà? Ce la farà soprattutto a non far diventare il fair play finanziario l’ennesimo luogo comune? Difficile. Io, con il mio spirito libertario, sostengo che ognuno fa un po’ come vuole. Se uno c’ha i soldi mi fa piacere per lui, ma perché punirlo? Comunque aspetto le vere punizioni.

7) Abbiamo i codici. Walter Mazzarri ha quelli tattici, pronunciati alla toscana (codisci); Cesare Prandelli si è inventato quello etico per la nazionale di calcio, anche se, bisogna dirlo, lui non ha mai usato questa espressione. In ogni caso è così che è stato inteso. Codice è l’ultima parola ad aver trovato posto al bar dello sport. Personalmente, sul codice etico ho una visione pragmatica. Siccome l’etica è una cosa seria, eviterei di applicarla al calcio e cercherei piuttosto di sostituirla con il buon senso. Mentre scrivo queste poche, sporche, eccetera, l’intervento di Giorgio Chiellini su Pjanic in Roma-Juventus è stato oggetto di esame attraverso la prova tv e quindi sanzionato con tre giornate di squalifica. Il commissario tecnico ha subito fatto sapere, prima che glielo chiedessero, che non considera questo intervento violento. Sottigliezze. Del resto che poteva fare? Non convocare il nostro miglior difensore, quello con più forza atletica e agonismo – infatti ogni tanto gli scappa via – per il Mondiale in Brasile? Con il codice etico e con i codici in generale, in un settore volubile come il football, si rischia sempre di essere forti con i deboli e aumma aumma con i forti. Perché dobbiamo farci del male da soli? Quello che succede in campo, bello o brutto che sia, finisce lì. C’è un giudice, c’è una pena. Chi sbaglia paga. Fine. È il calcio: si dà, si prende e poi si ricomincia. Senza doverci ricamare sopra la morale.

8) La differenza la faranno le condizioni climatiche. Da quando si è saputo che c’è il Mondiale in Brasile questa la sento ogni giorno dell’anno. Esperti di equatore, fusi orari, foresta amazzonica, anaconda (un serpente che si avvinghia dolcemente), zanzare tropicali, alberi della gomma e caffè tostato si contendono il proscenio al bar dello sport, spiegando, illustrando, dissertando. Ci sono nazionali, compresa la nostra, che ricreeranno un microcosmo amazzonico (anche con coccodrilli e piranha?) per abituare i giocatori a quello che troveranno a Manaus. Io, su questo ho una mia idea. Nel 1958 il Brasile vinse in Svezia; nel 1994 l’Italia, a Pasadena, che pure veniva dal mefitico clima della East Coast resistette 120 minuti contro il Brasile che aveva soggiornato in California. Per farla breve: vince chi se lo merita. Comunque ho sentito di colleghi che si sono vaccinati anche per la febbre gialla, per il tifo e chi più ne ha più ne metta. Belin, m’hanno messo agitazione.

Epilogo. Rigore è se arbitro fischia. Vorrei qui ricordare Vujadin Boskov, l’unico doriano che ho amato, grande allenatore e grande uomo. L’unico personaggio del mondo del calcio che ha galleggiato sulle assurdità del pallone con (auto) ironia, prendendolo in giro, prendendosi in giro, prendendoci in giro. Ciao Vuja, come giocavi tu con i luoghi comuni, non giocava nessuno.


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